Omertà
1. Le mafie comunicano?
Sì, le mafie comunicano, ma lo fanno in modo molto diverso da come siamo abituati a pensare. Non usano parole dirette, ma si servono di gesti, azioni e, spesso, del silenzio. È una comunicazione che si basa sulla paura, sulla capacità di mandare messaggi chiari senza bisogno di spiegazioni.
2. Cosa sappiamo sulle mafie? Da dove vengono le informazioni che abbiamo?
Le informazioni che abbiamo sulle mafie arrivano soprattutto dai media, dai giornalisti d’inchiesta e dai racconti di chi ha vissuto o combattuto contro di esse. Però, spesso, quello che sappiamo è filtrato: alcune storie vengono amplificate, mentre altre vengono messe a tacere. È difficile avere un quadro completo perché la mafia, per definizione, opera nell’ombra. Forse è questo che la rende così difficile da comprendere fino in fondo: sappiamo abbastanza per temerla, ma non abbastanza per fermarla.
3. Come i media partecipano a creare il nostro immaginario sulle mafie?
I media hanno un grande potere, e purtroppo non sempre lo usano nel modo giusto. Da un lato, ci raccontano le storie delle vittime e dei coraggiosi che si oppongono alla mafia, e questo è importante. Dall’altro, però, spesso la mafia viene raccontata come qualcosa di “spettacolare”.
4. Ci affascina la mafia? Se sì, perché?
Credo di sì, in un certo senso. Forse è perché la mafia rappresenta qualcosa di proibito, di misterioso, e questo ci incuriosisce.
5.Quali stereotipi fanno parte del nostro immaginario sulle mafie?
Gli stereotipi sulle mafie sono sempre gli stessi: il boss potente e rispettato, la famiglia mafiosa unita da un codice d’onore, la figura del “mafioso gentiluomo”. Tutto questo è lontano dalla realtà. La mafia non ha nulla di romantico o di onorevole. Non è fatta di gesti epici, ma di piccoli crimini quotidiani, di sfruttamento, di paura.