“Non ci si può presentare da soli ad un altro amico nostro, se non è un terzo a farlo”. “Non si guardano mogli di amici nostri”. “Non si fanno comparati con gli sbirri”. “Non si frequentano né taverne e né circoli”. “Si ha il dovere in qualsiasi momento di essere disponibile a Cosa nostra. Anche se c’è la moglie che sta per partorire”. “Si rispettano in maniera categorica gli appuntamenti”. “Si deve portare rispetto alla moglie”. “Quando si è chiamati a sapere qualcosa si dovrà dire la verità”. “Non ci si può appropriare di soldi che sono di altri e di altre famiglie”. “Non può entrare in Cosa nostra chi ha un parente stretto nelle varie forze dell’ordine”, “chi ha tradimenti sentimentali in famiglia”, e “chi ha un comportamento pessimo e che non tiene ai valori morali”.
E’ questo il decalogo del “perfetto mafioso” che nel 2007 gli inquirenti avevano sequestrato tra i documenti del boss Salvatore Lo Piccolo.
Nove anni dopo, nell’ambito della duplice operazione “Brasca” e “Quattro Zero”, che ha portato all’esecuzione di 62 misure cautelari, si parla ancora delle rigidi regole di Cosa nostra. “Quelle che – ha ricordato il procuratore Capo Francesco Lo Voi – rendono forte la mafia sul territorio”.
Dalla presentazione rituale, al divieto di ricorrere alla giustizia dello Stato, ma anche l’obbligo di protezione dei ricercati. Un codice che le giovani leve faticano a rispettare. E di questo nuovo modo di essere mafiosi si lamentavano i boss. “Una vriuogna così mi l’ho vista io” si lamentava il capmandamento di Villagrazia-Santa Maria di Gesù, Mariano Marchese. “Ora ognuno se ne sbatte i c…” ribatteva un altro anziano, Vincenzo Adelfio, rimarcando: “A volte salivo pure di notte là, appena… lasciavo qualsiasi cosa… tutto… pure mia moglie al momento che partoriva, lasciavo io!”.
Eppure le regole sono semplici (sono le stesse di cui aveva parlato per primo Tommaso Buscetta, ndr) e vengono ricordate dai boss nelle intercettazioni riportate nell’ordinanza “Brasca”.

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