La diffusione delle organizzazioni criminali di origine mafiosa oltre i territori originari, il loro radicamento nei settori economici e la penetrazione delle mafie negli spazi dell’economia legale (e non più solo nell’illecito) confermano la natura di questo fenomeno e la necessità di contrapporvi una strategia di contrasto complessa che tenga in considerazione il lavoro e la sua tutela, il loro impatto sulle relazioni di lavoro e le ripercussioni che si determinano sul piano dei diritti.
Con il passare del tempo, le mafie approfittano sempre di più di persone che cercano lavoro, offrendo loro opportunità a dir poco disumane. Da qui, viene introdotta la parola: “caporalato”, ovvero l’intermediazione illegale e lo sfruttamento dei lavoratori irregolari, prevalentemente nel settore agricolo, ma anche in quello dei trasporti, delle costruzioni, della logistica e dei servizi di cura, ma per l’appunto ha una forte incidenza nell’agricoltura per via di alcune caratteristiche di questo settore. In particolare, il fatto che si basi sulla stagionalità e quindi su rapporti di lavoro di breve durata.
In Italia vive una popolazione di “invisibili”, stranieri che lavorano nelle campagne, lontano dagli occhi dei centri abitati e spesso alloggiati in spazi fatiscenti, sfruttati e mal pagati da caporali e imprenditori. È anche grazie al loro lavoro se certi prodotti arrivano sulle nostre tavole, eppure la loro vita resta confinata nel silenzio, spesso protagonisti di storie di sfruttamento e schiavitù.

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