Le mafie spesso non sono percepite nel mondo del lavoro. I fenomeni mafiosi, invece, stravolgono la nostra economia locale, esistono e si vedono “ad occhio nudo”. Raramente si guarda alla correlazione mafia e mercato del lavoro illegale. Intendo quello in cui non si rispettano le norme
contrattuali o in cui sono violate le disposizioni penali.
La mafia in questo ambito ha peculiarità particolari che le derivano dai corposi guadagni. La singolarità dell’economia del lavoro è in buona parte basata sull’agricoltura e sul turismo. Questa particolarità suggerisce alla mafia di intervenire e infiltrarsi proprio attraverso il mondo del lavoro. L’economia malavitosa cammina e si rafforza laddove il sistema politico e quello sociale non sono reattivi. La mafia, in questo settore, più che intimidire propone soluzioni agli imprenditori offrendo contanti, risparmi, scorciatoie, i consigli giusti per truccare i profitti. Se vuoi risparmiare nella raccolta del pomodoro o dell’uva ti porta operai che lavorano per pochi euro al giorno. Conviene al mafioso e conviene all’imprenditore disonesto.
Cominciamo subito con dire che si tratta di un reato, per la precisione un delitto, previsto dall’articolo 603-bis del codice penale e inserito tra i delitti contro la personalità individuale al pari della riduzione o del mantenimento in schiavitù. Siamo, dunque, di fronte ad una condotta criminosa molto grave e lesiva di un bene costituzionalmente tutelato. Questo delitto, anche a seguito della grave crisi economica in atto, si sta diffondendo vertiginosamente in tutta l’Italia da Nord a Sud. Si tratta di un fenomeno caratterizzato soprattutto dallo sfruttamento irregolare del lavoro. Ho letto sentenze di condanna dove era scritto di retribuzioni pari a tre o quattro euro all’ora per la raccolta di prodotti agricoli. In alcuni casi si lavorava addirittura gratis in cambio del rilascio di certificazioni del rapporto di lavoro o del permesso di soggiorno.