Il 28 novembre 2013 il collaboratore di giustizia Nino Giuffrè riferirà che l’archivio di Totò Riina, che fu trafugato dal covo del boss nel gennaio del 1993 dopo il suo arresto, sarebbe finito in parte nelle mani di Matteo Messina Denaro, vero e proprio pupillo del boss corleonese[38]. In un’intervista alla giornalista Raffaella Fanelli del 19 settembre 2015, il pentito Gioacchino La Barbera racconterà di aver consegnato personalmente a Messina Denaro una Volkswagen Golf abitualmente utilizzata da Riina con all’interno un carteggio segreto prelevato dalla cassaforte del boss.[39]
Dopo l’arresto di Riina, Messina Denaro fu favorevole alla continuazione della strategia degli attentati dinamitardi, insieme ai boss Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e ai fratelli Graviano[40][41]; Messina Denaro mise infatti a disposizione un suo uomo, Antonio Scarano (spacciatore di droga di origini calabresi residente a Roma), per fornire supporto logistico al gruppo di fuoco palermitano che compì gli attentati dinamitardi a Firenze, Milano e Roma, che provocarono in tutto dieci morti e 106 feriti, oltre a danni al patrimonio artistico[42]. Secondo il pentito Giovanni Brusca fu Messina Denaro a scegliere gli obiettivi degli Uffizi e San Giovanni in Laterano per la sua competenza nel campo delle opere d’arte.[43]
Nell’estate del 1993, mentre avvenivano gli attentati dinamitardi, Messina Denaro andò in vacanza a Forte dei Marmi insieme ai fratelli Graviano e le rispettive compagne; da allora si rese irreperibile, dando così inizio alla sua lunga latitanza, perché nei suoi confronti venne emesso un mandato di cattura per un quadruplice omicidio commesso nel 1989, sulla base delle accuse del collaboratore di giustizia Baldassare Di Maggio[16][29][44][45]. Fu però con l’operazione Petrov del marzo 1994, scaturita dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pietro Scavuzzo, che emerse il suo ruolo all’interno di Cosa nostra trapanese[46] e, ancora di più, con l’operazione “Omega”,