La mia risposta, con dati alla mano, ovviamente, è sì. Basta osservare le molteplici indagini giudiziarie degli ultimi dieci anni e unire i vari componenti del puzzle e il rapporto mafie, sfruttamento del lavoro e economia irregolare emerge in tutte le sue sfaccettature. False associazioni di categoria, cooperative truffaldine, caporalato e lavoro nero, frodi fiscali, fondi neri, usura, riciclaggio, reati ambientali e il cerchio si chiude. Da questi “reati-spia” occorre partire per circoscrivere l’esistenza di una criminalità organizzata di stampo mafioso nel mondo del lavoro.
Quali sono le caratteristiche di questo tipo di mafie?
La mafia in questo ambito ha peculiarità particolari che le derivano dai corposi guadagni. La singolarità dell’economia del lavoro è in buona parte basata sull’agricoltura e sul turismo. Questa particolarità suggerisce alla mafia di intervenire e infiltrarsi proprio attraverso il mondo del lavoro. L’economia malavitosa cammina e si rafforza laddove il sistema politico e quello sociale non sono reattivi. La mafia, in questo settore, più che intimidire propone soluzioni agli imprenditori offrendo contanti, risparmi, scorciatoie, i consigli giusti per truccare i profitti. Se vuoi risparmiare nella raccolta del pomodoro o dell’uva ti porta operai che lavorano per pochi euro al giorno. Conviene al mafioso e conviene all’imprenditore disonesto.
A questo punto, vorremmo approfondire con Lei un fenomeno che si sta manifestando in maniera sempre più allarmante in Italia: il caporalato. Ci spiega brevemente di cosa si tratta?
Cominciamo subito con dire che si tratta di un reato, per la precisione un delitto, previsto dall’articolo 603-bis del codice penale e inserito tra i delitti contro la personalità individuale al pari della riduzione o del mantenimento in schiavitù. Siamo, dunque, di fronte ad una condotta criminosa molto grave e lesiva di un bene costituzionalmente tutelato. Questo delitto, anche a seguito della grave crisi economica in