Il tema della comunicazione delle mafie è profondo e complesso, toccando corde sensibili legate alla violenza, agli stereotipi e al ruolo fondamentale dei social media nel formare la nostra percezione collettiva. Le mafie, come organizzazioni criminali, non si limitano a lavorare nell’ombra; utilizzano un linguaggio potente e spesso brutale per affermare il loro potere. La violenza è la prima parola a cui penso quando viene nominata la parola “mafia”, ed è uno dei principali canali attraverso cui le mafie comunicano. Non è solo un mezzo per ottenere il controllo, ma rappresenta un messaggio più che diretto. Le esecuzioni, le minacce e le intimidazioni sono affermazioni di dominio. Quando una persona viene uccisa o minacciata, il messaggio è chiaro: chi si oppone alla loro volontà ne subirà le conseguenze. Questa strategia gioca sulla paura , creando clima di soggezione che rendo difficile per le persone ribellarsi.
L’immaginario collettivo rispetto alle mafie è spesso influenzato da stereotipi. Il mafioso è frequentemente rappresentato come un uomo di potere, carismatico, che vive secondo un codice d’onore. Questa immaginazione, alimentata da film e libri, può distogliere l’attenzione dalla realtà cruda della violenza e della sofferenza che le mafie portano con sè. Inoltre, c’è una visione molto stretta delle donne nel contesto mafioso. Le donne rivestono ruoli cruciali, sia come complici sia come vittime. I social media tendono a trascurare queste storie, concentrandosi solo sulle figure maschili. I media hanno un potere enorme nella creazione di questi stereotipi solamente che, le notizie riguardanti le mafie, si focalizzano solo su eventi drammatici e violenti, lasciando in disparte le vittime e le famiglie colpite. Le storie di Barbara Corvi, Le Garofalo e Valentina Guarino dimostrano che le mafie non colpiscono solo gli uomini, ma anche le donne, in modi spesso invisibili e devastanti.