Nel corso degli anni le mafie sono state oggetto di grande discussione e le informazioni che ad oggi consideriamo “risapute”, solo pochi decenni fa, non lo erano affatto.
Per questo livello di conoscenza sono state fondamentali le testimonianze di persone che sono state, o sono tutt’ora, a stretto contatto con questo mondo come, ad esempio, i “pentiti” (chi decide di cambiare la propria vita per il meglio, scegliendo la giustizia, anche se a costo di vivere nel terrore di una inevitabile vendetta).
I mezzi più usati per sensibilizzare sulle azioni compiute tutti i giorni da queste associazioni di criminalità organizzata, da banali furti ad assassinii, sono senza dubbio il cinema e la musica, in quanto strumenti dalla comunicazione più diretta, ma ritengo necessario menzionare anche l’importanza della letteratura (ad esempio: “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia).
Le mafie, nel loro mistero, riescono ad attrarre una certa demografica che preferisce rifiutare la realtà e pensa di poter romanticizzare le dinamiche e gli individui che vi appartengono a danno delle vittime e delle loro famiglie. Da quello vedo sui social media, penso che nel collettivo si sia fatto un passo indietro: sempre più romanzi rosa e serie tv rappresentano versioni molto fantasiose di quello che dovrebbe essere una storia d’amore con un mafioso che spesso è alto, giovane, tatuato, attraente, astuto, ricco, romantico, un gentiluomo, dedito alla famiglia, religioso, onorevole, spietato quando necessario e sempre ben rispettato.
Anche nella vita di tutti i giorni molti giovani si vestono ed atteggiano per essere conformi a questo stereotipo per avere un riscatto sociale, essere stimati dai coetanei.
Le mafie comunicano nel nostro mondo tutti i giorni, con mezzi più o meno evidenti come: il linguaggio del corpo o un linguaggio che a noi risulta ambiguo (mentre loro sono in grado di coglierne i doppi significati), o ancora, qualcosa di gran lunga più manifesto come un attentato.

Guarda gli altri contenuti di Michela Tr