Le mafie si esprimono attraverso un linguaggio di codici, silenzi e segnali sottili, affinato nel tempo per eludere i controlli. Ogni organizzazione ha le proprie regole, ma il principio rimane lo stesso: trasmettere ordini senza lasciare tracce evidenti. Le comunicazioni possono avvenire tramite sguardi, strette di mano, biglietti scritti e subito distrutti, oppure messaggi criptici affidati a persone fidate. Nelle carceri, i “pizzini” – piccoli foglietti con istruzioni – hanno preso il posto delle lettere tradizionali, mentre all’esterno si utilizzano linguaggi che sembrano innocui per comunicare attraverso telefonate intercettate o persino nei post sui social network. La tecnologia ha ampliato le opzioni, con chat criptate e cellulari usa e getta, ma l’essenza rimane invariata: farsi capire da chi deve sapere e rimanere invisibili agli occhi dello Stato. Per le mafie, la comunicazione non è solo un mezzo, ma una strategia di sopravvivenza e potere.

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