Giuseppina è una donna che appartiene alla grande famiglia dei Pesce legata all’ N’ drangheta, che si stanca di essere sempre zittita o riempita di botte e trova il coraggio di dire basta alla sua condizione e alle morti assurde, senza senso.
Nel 2010 viene incarcerata e decide di collaborare con la giustizia, anche se sa benissimo che la mafia non perdona, sa già che oltre a prendersela con lei lo farà anche con i suoi figli (ne ha ben tre) e parenti.
Suo malgrado, però, è costretta a ritrattare tutto dicendo di essere stata obbligata dai magistrati durante l’ interrogatorio a confessare cose non vere.
Va a vivere lontano dalla Calabria con sua figlia, trova un uomo con cui lei sta bene, ma la sua vita è sempre appesa ad un filo; anche la figlia, prima reticente, decide di appoggiarla nella lotta, dopo che suo padre l’ha riempita di botte per far sì che la mamma ritorni sui suoi passi.
Dopo due anni la donna riprende la collaborazione con la magistratura, confessa di appartenere alla famiglia dei Pesce, di essere coinvolta e di sapere tutto sui loro loschi traffici.
Nel 2012 c’è il processo e da qui nasce il sentimento di speranza da parte di tantissime donne che decidono di rompere il silenzio e la loro ribellione sovrasta l’omertà.
Questa storia è stata per me un’occasione di profonda riflessione: nessuno ha il diritto di togliere la vita ad un altro essere umano, non si può morire di botte solo perché si è visto qualcosa che non si doveva o trovarsi in un tal luogo nel momento sbagliato o tanto più essere punito per una faida famigliare.
La vita è una sola, cara, personale, e dobbiamo viverla in libertà.
Onore alle donne. Grazie Giuseppina.

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