Il video che ho trovato su YouTube utilizzando le parole “mafia”, “Emilia-Romagna” e
“Aemilia”, è molto interessante perché spiega bene come la ’Ndrangheta si sia insediata
in Emilia-Romagna e come il maxi-processo abbia sferrato un duro colpo a questa
organizzazione criminale. Il processo Aemilia è il maxi-processo che ha portato al banco
degli imputati la ‘ndrangheta in Emilia Romagna. Le condanne di primo grado arrivate
dopo oltre due anni di udienze, hanno sancito l’esistenza di un’associazione
‘ndranghetistica al Nord che la Direzione distrettuale antimafia di Bologna considera
operante dal 2004. Si tratta di un sodalizio ritenuto legato alla cosca Grande Aracri di
Cutro (Crotone), con epicentro a Reggio Emilia. Il processo mirava a colpire “la
‘ndrangheta imprenditrice”, come la definì l’allora procuratore della Dda di Bologna,
Roberto Alfonso. Secondo gli inquirenti, l’obiettivo del gruppo criminale era “acquisire
direttamente o indirettamente la gestione e il controllo di attività economiche”, anche nei
lavori di ricostruzione dopo il sisma del 2012, oltre che ottenere “appalti pubblici e
privati e ostacolare il libero esercizio del voto”, nel caso delle elezioni dal 2007 al 2012
nelle province di Parma e Reggio Emilia. Tra gli imputati, anche imprenditori, esponenti
delle forze dell’ordine e della politica. Oltre allo Stato, anche i sindacati, le associazioni,
l’ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna (ci sono cronisti vittime di intimidazioni) e
numerosi enti locali si sono costituiti parte civile. La maxi-operazione Aemilia scatta
nella notte fra il 28 e il 29 gennaio 2015. Al centro dell’indagine ci sono i rapporti e le
infiltrazioni della cosca Grande Aracri. In quel momento gli indagati sono in totale 224.
Di questi, ne vengono arrestati 160, di cui 117 in Emilia Romagna (sette irreperibili). I
capi di imputazione sono in totale 189 e a 54 persone viene contestato il reato di
associazione a delinquere di stampo mafioso. A coordinare la prima grande inchiesta sull’
‘Ndrangheta presente nella Regione è la procura distrettuale antimafia di Bologna e sono
oltre 200 i militari impegnati tra Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Lombardia,
Piemonte, Veneto, Calabria e Sicilia. Altri 46 provvedimenti vengono emessi dalle
procure di Catanzaro e Brescia. Il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti
definisce l’operazione come “un intervento storico contro la mafia al Nord”. Gli indagati
sono accusati non solo di associazione di tipo mafioso, ma anche di estorsione, usura,
porto e detenzione illegali di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di capitali di
illecita provenienza, emissione di fatture per operazioni inesistenti e altro. Tutti reati
commessi con l’aggravante di aver favorito l’attività dell’associazione mafiosa.
Le imprese rappresentano il settore più compromesso, prima fra tutte l’azienda edilizia
Bianchini s.r.l. in provincia di Modena, ora sotto amministrazione giudiziaria. Qui gli
esponenti dell’ndrangheta più acclamati facevano affari con gli imprenditori modenesi.