Lea Garofalo era cresciuta in una una famiglia ‘ndranghetista, in cui la nonna le insegna che “il sangue si lava con il sangue”.
Si sposa con Carlo Cosco, che gestisce insieme ai fratelli, i traffici di droga per conto della famiglia Garofalo.
Quando venne arrestato, Lea, per proteggere sua figlia da quell’ambiente, decise di trasferirsi e di denunciare la famiglia e suo marito.
Fu aggredita più volte dal fratello e dal marito quindi, iniziò a collaborare con la giustizia ed entrò nel programma di protezione dei testimoni dal quale venne espulsa quattro anni dopo perché non ritenuta una collaboratrice attendibile.
Nel Novembre del 2009 venne uccisa strangolata da Carlo Cosco e il cadavere venne lasciato bruciare nell’acido per quasi tre giorni, perché non ne rimanesse traccia.
I carabinieri chiesero alla figlia di stare con il padre per cercare di raccogliere prove dell’omicidio.
Nel 2013 Carlo Cosco, già condannato all’ergastolo, ammette l’assassinio.
Da allora la figlia Denise vive sotto protezione e nell’anonimato.
Le mafie non seguono un codice d’onore e lo possiamo dedurre dalle morti di molte donne e bambini.