Questa pagina della “Repubblica” spiega come le mafie nei periodi di pace comunicano. Negli ultimi anni c’è stata una modernizzazione della “parlata” che ha seguito passo dopo passo i mutamenti e le strategie delle organizzazioni criminali. Una fraseologia che è cambiata dentro e fuori i sodalizi, quando capi e sottocapi hanno dovuto esprimersi fra di loro e quando, al contrario, hanno dovuto notificare avvisi agli altri. Costretti a far coesistere segretezza e diffusione di informazioni, le mafie ormai parlano dappertutto. In chiesa e allo stadio, sui libri e al cinema, in politica e in affari, in Rete e al 41 bis, in Italia e all’estero. Riescono ad adattarsi velocemente alle trasformazioni della società, altrettanto rapidamente i boss e i loro complici adeguano la loro lingua ai tempi e ai luoghi in cui vivono. Il linguaggio dei boss di oggi, a partire dai “pizzini” per passare ai telefoni cellulari, da “radio carcere” a Facebook, dal bacio in bocca a Twitter, fino alle intimidazioni verbali su Youtube, fino alle testate di Ostia. Quella famosa frase che una volta si pronunciava sempre in Sicilia: «La meglio parola è quella che non si dice». A quanto pare non è più così.

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