Le mafie si contraddistinguono soprattutto per la capacità di radicarsi in un territorio, di disporre di notevoli risorse economiche, di controllare e di influenzare la vita politica e istituzionale, ricercando il consenso sociale.
Cercando su internet le parole “sistema sociale”, “mafie”, “clan” e “denaro”, ho trovato un’intervista di Cataldo Motta, procuratore capo di Lecce e nemico numero uno della mafia pugliese, il quale svela il mondo della Sacra Corona Unita e afferma:
“All’esterno appaiono come benefattori. Danno prestiti a fondo perduto e procurano lavoro. Le vittime di estorsione offrono spontaneamente regali ai boss e alle loro mogli”.
Continua: “In 40 anni si è passati in maniera strisciante dal rifiuto all’indifferenza, dall’accettazione al consenso sociale”.
Dunque, se lo Stato non dà lavoro lo si cerca dai clan: le mafie approfittano della povertà per sostituirsi allo Stato stesso. Inoltre persiste il problema ormai cronico legato alla disoccupazione di massa: nelle periferie italiane, specialmente del Meridione, dove il lavoro scarseggia, sono le mafie a garantire l’esistenza di molte famiglie.
È un autentico circolo vizioso: se è vero che la criminalità organizzata trova terreno fertile dove imperversa la disoccupazione, è anche vero che questa è una conseguenza della presenza dei clan, ma è altrettanto vero che dovrebbe essere lo Stato a intervenire per arginare le conseguenze di questi fenomeni.

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