Gli italiani che resistono alle mafie: Lea Garofalo

3 Dicembre 2020
Lea Garofalo nasce il 24 aprile 1974 a Petilia Policastro, in una famiglia legata alla ‘Ndrangheta.
A tredici anni si innamora di Carlo Cosco, membro anche lui di una delle famiglie della mafia calabrese e i due decidono di andare a vivere a Milano.
Dopo non molto, Cosco inizia a frequentare un gruppo di spacciatori di Quarto Oggiaro e allaccia rapporti con un gruppo della ‘Ndrangheta da tempo presente in Lombardia.
La relazione tra il ragazzo e la malavita calabrese si fa sempre più stretta, fin quando Cosco diventa il capo della ‘Ndrangheta a Milano. Nel frattempo, i due giovani sono diventati genitori di Denise ed è anche in nome di loro figlia che Lea cerca, invano, di far cambiare vita al suo compagno.
Il 1996 è un anno cruciale nella vita di Lea. Il 7 maggio Carlo Cosco viene arrestato per traffico di droga e per la Garofalo questo rappresenta la fine della loro storia: la giovane donna parte con la figlia, tentando di nuovo di allontanarsi dalla mafia.
È nel 2002 che Lea decide di diventare testimone di giustizia e far luce sulle faide interne tra la famiglia Garofalo e la famiglia del suo ex compagno Cosco. Entra in un programma di protezione testimoni e fornisce informazioni riguardo omicidi di carattere mafioso che hanno avuto luogo alla fine degli anni Novanta a Milano.

In seguito a queste sue testimonianze, la donna viene trasferita a Campobasso, dove però nel 2006 perde la tutela del programma di protezione. A questo punto, però, è la stessa Garofalo a rinunciare alla tutela e torna a Petilia Policastro prima, Campobasso poi, sempre con sua figlia Denise.

Era il 24 novembre 2009. Sarà lo stesso Cosco a denunciare poi la scomparsa della donna. In seguito, le indagini riescono a far luce sulla scomparsa di Lea: l’ex compagno, con l’aiuto di due fratelli, ha torturato e ucciso con un colpo di pistola la donna, gettandola in 50 litri di acido e lasciandola lì per tre giorni. Il corpo è stato portato in un terreno nella frazione di San Fruttuoso (Monza). Solo dopo la condanna in primo grado, Carmine Venturino inizia a confessare, permettendo agli inquirenti di ritrovare frammenti ossei e la collana della donna.

A termine dell’iter giudiziario, il 18 dicembre del 2014 la Cassazione conferma l’ergastolo per Carlo e Vito Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabatino, la condanna a 25 anni di reclusione per Carmine Venturino e assolve Giuseppe Cosco per non aver commesso il fatto.
Ho trovato il nome di Lea Garofalo facendo una ricerca su tutte le donne che hanno combattuto la Ndrangheta perdendo purtroppo la vita.
Le scelte erano tante, ma a me ha colpito molto la storia di Lea Garofalo, perché secondo me ha avuto tanto coraggio a mettersi contro la mafia. Lei ha combattuto la mafia da sola, soltanto con il supporto della figlia Denise, che nonostante fosse una ragazza di giovane età ha aiutato molto la madre nelle testimonianze. Inizialmente non tutte le associazioni che si occupano della tutela dei testimoni hanno dato retta ad esse, però subito dopo la morte di Lea hanno subito tutelato la figlia, Denise, ed è proprio grazie a lei che hanno avuto le informazioni esatte per trovare gli assassini della madre.
Tutto ciò che ha fatto Lea può sembrare semplice ma non lo è.

Angelo

Maglie

IISS E. MATTEI

2 A

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