Recensioni del film LA TERRA DELL’ABBASTANZA

di Damiano e Fabio D’Innocenzo

 

Il corriere della sera
03/06/2018

Un altro dei meriti del film, che i due fratelli hanno scritto quando avevano 22 anni impiegando i successivi sei per trovare chi glielo producesse (la Pepito Produzioni e Rai Cinema), è proprio la giustezza dei dialoghi, la capacità di non voler spiegare ma di lasciare alle immagini (e alla recitazione) il compito di raccontare e mostrare. Nasce da qui l’efficacia del loro cinema, capace di aprire la storia a un più ampio sguardo sociologico e antropologico, su un mondo che sembra solo capace di passare dalla rabbia alla rassegnazione, dall’invidia per chi ha di più (e verso cui si può provare solo risentimento) a un’accettazione dell’esistente che sa di rinuncia e di sconfitta. Un’alternativa che tale non è e che però inchioda le persone alla loro condizione, da cui forse usciranno solamente quando non riusciranno più a sopportarne le conseguenze.
Nel film qualcuno cercherà quella via d’uscita e qualcuno no, però nei modi sorprendenti e non scontati di un film che sembra inseguire le regole dei generi (un noir metropolitano sporco e slabbrato) e invece trova l’ambizione del film d’autore, senza i vezzi di un facile esercizio di stile ma con la concretezza e l’efficacia di un linguaggio classico, compatto, capace di arrivare dritto al cuore dello spettatore. Capace di coniugare l’efficacia con l’intelligenza.


Emiliano Morreale su La Repubblica
07/06/2018

Il percorso di ascesa e caduta (e presa di coscienza) dei due segue uno schema tragico, ma il modello, più che, per esempio, lo Scorsese di Mean Streets, sembra essere il noir classico, che viene contaminato con gli stilemi del film d’autore e con uno sguardo che resta addosso con trasporto ai personaggi, e va oltre il realismo. I colori a volte si fanno irrealistici, quasi astratti, le scelte di regia spesso sorprendenti, sul filo della ricercatezza, con momenti di contemplazione estatica: comunque quasi sempre questo gusto non inficia ma al contrario potenzia la secchezza del racconto, che procede volentieri per ellissi, con personaggi secondari definiti in maniera rapida ed efficace.


Federico Pontiggia su Il cinematografo
2018

É un film poeticamente, leggi sociologicamente, scomodo; straordinariamente girato, per essere un esordio; assai perfettibile, per drammaturgia. Pertanto, ancor più prezioso: ne sentiremo parlare, di questi D’Innocenzo, perché mettono in scena con una sicurezza, anche negli errori, una assertività e una lucidità ammirevoli. Soprattutto, declinano pistola alla mano il ritratto di una gioventù che sa andare oltre, superarsi, negarsi in un movimento da fermo, un surplace, molto preciso, molto sintomatico. Si capisce qui, e bene, il perché della diversità poetica, della non addomesticabilità al genere, dello scarto tra quel che appare e quel che è: sotto le mentite spoglie del romanzo, pardon, saggio criminale, c’è molto di più, c’è un’idea di cinema ambiziosa, una tensione formale non doma, un anelito di libertà in catene. 


Valeria Verbano su Metropolitan Magazine
13/09/2020

La terra dell’abbastanza non intende comunque creare empatia o compassione. Lo scopo, al contrario, è proprio quello di mostrare con sincerità disarmante e brutale, priva di filtri, una parte dell’Italia che esiste, anche quando rifiutiamo di vederla. Una terra dove abbastanza è il massimo a cui aspirare, in cui lo Stato e le istituzioni falliscono, anzi non riescono proprio a entrare. In un certo senso i fratelli D’Innocenzo si inseriscono in un filone già esistente, il cinema delle banlieues e dei margini, ma reinventano il realismo del nostro cinema. Raccontano una realtà bestiale e ormai perduta con un’eleganza stilistica sopraffina.