Uccisione di Paolo Borsellino e degli agenti della scorta

8 Dicembre 2020

Nel suo ultimo giorno di vita Paolo Borsellino decide di pranzare a Villagrazia di Carini – una frazione di Palermo – con la moglie, Agnese, e i figli Manfredi e Lucia. Quindi li saluta, raduna la scorta e chiede di passare dalla madre. Alle 16:58 il corteo arriva in via D’Amelio, una strada senza uscita. Il giudice scende dall’auto e si muove verso il citofono. Farà appena in tempo a suonare: una Fiat 126 imbottita di tritolo esplode uccidendolo sul colpo, assieme ai cinque agenti della scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Si salva per miracolo solo un poliziotto, Antonino Vullo. Pochi giorni prima di morire, parlando ad una conferenza organizzata all’università di Palermo, Borsellino ricordava Falcone spiegando: “La sua morte l’avevo in qualche modo messa in conto”. Pesò ogni parola, rivoltando continuamente tra le mani un accendino. Lo sguardo spesso rivolto verso il basso, le continue pause. L’attacco durissimo alle istituzioni, a quella magistratura “che forse ha più colpe di tutti”, allo stato che lasciò il suo collega “morire professionalmente, senza che nessuno se ne accorgesse. Denunciai quanto stava accadendo e per questo ho rischiato conseguenze gravissime” ma che erano necessarie, “perché alla morte di Falcone tutti avrebbero dovuto già sapere. Il pool doveva morire di fronte al paese intero, non nel silenzio”.


Mattia

Nocera Umbra

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