Codice morale
Codici d’onore, uomini d’onore, “la mafia non tocca donne e bambini“, “i mafiosi hanno regole ferree”, “i mafiosi non tradiscono“, “Non si guardano mogli di amici nostri”, “Si deve portare rispetto alla moglie”, “chi ha tradimenti sentimentali in famiglia” e “chi ha un comportamento pessimo e che non tiene ai valori morali”.
Sono tutti falsi miti o per lo meno erano inizialmente vere ma tutte queste “regole” in realtà sono state infrante in svariate occasioni nel corso degli anni. Spesso, ancora oggi, si sente parlare degli “uomini d’onore” ma sempre questi ormai non hanno né regole, né onore e né codice morale. Le vittime innocenti delle mafie sono più di 900; di queste vittime sono 108 le bare bianche disseminate dalle mafie da Nord a Sud, bambini, alcuni anche neonati, uccisi a sangue freddo con un colpo di pistola, colpiti da esplosioni e proiettili con la sola colpa di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. La vittima più piccola si chiama Caterina Nencioni, di soli 53 giorni, uccisa con la sorella Nadia, di otto anni, nell’esplosione di via dei Georgofili a Firenze del 1993. Giuseppe Letizia, 13 anni, probabilmente avvelenato in ospedale dopo aver assistito all’omicidio di Placido Rizzotto e poi ancora Pinuccia Utano, 3 anni, raggiunta da un proiettile mentre dormiva sul sedile posteriore dell’auto del padre. Nella storia sono state uccise anche molte donne, ben 157, contrariamente da come dice il codice d’onore (“la mafia rispetta le donne e i bambini”). Una delle prime fu Emanuela Sansone aveva solamente 17 anni, uccisa il 27 dicembre 1896, perché si sospettava che la madre avesse denunciato i picciotti che falsificavano bancanote. Graziella Campagna, stessa età, venne uccisa nel 1985, lavorava in una lavanderia e in una camicia da pulire aveva trovato l’agendina di un latitante. Altre donne sono state uccise insieme ai loro compagni, per rendere ancora più plateale la ferocia delle esecuzioni. Una storia diversa fu quella di Rita Atria, cresciuta in una famiglia di boss, a 17 anni testimonia davanti a Paolo Borsellino, ripudiata dalla madre, si suicida pochi giorni dopo la strage di via D’Amelio, prima di diventare maggiorenne. La storia più ricordata è quella di Lea Garofalo, vedova, sorella e compagna di trafficanti, nel 2002 decide di testimoniare contro di loro, inizia poi a vivere sotto protezione ma nel 2009 la rapiscono e la uccidono a soli 34 anni. Nel processo furono determinanti le testimonianze della figlia, che accusava suo padre e lo faceva condannare per omicidio. Il segno che il coraggio delle donne di tutte le età non si fa piegare. Ma anche fra mafiosi si uccidono le mogli, come il caso di Carmela Minniti, moglie dello storico capomafia Nitto Santapaola.
Dalle uccisioni dei bambini, a quelle delle donne, fino ai pestaggi ed ai tradimenti. Le loro “regole” sono solo frasi false. Nessun onore, nessun rispetto. Non bisogna dimenticare la violenza delle mafie non è nè uno scherzo nè un gioco, per trovare il coraggio di denunciare questi “uomini” e scegliere da che parte stare. Giustizia!
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