LA NOSTRA STRADA

di Pierfrancesco Li Donni

Italia 2019, 70 min.

I protagonisti: Daniel, Desirée, Simone, Morena e il loro professore di lettere Giovanni. Luoghi: l’aula della classe III B della scuola media Bonfiglio di Palermo, le loro abitazioni e le strade del loro quartiere, Colonna Rotta. Pierfrancesco Li Donni li segue nell’ultimo anno della scuola media e li va a cercare nuovamente a distanza di un anno. Un riflettore acceso sulla scuola e sulla frontiera tra i sogni e la dura realtà degli adolescenti italiani. Miglior film alla XVI edizione del Biografilm Festival, La nostra strada ci ricorda i rischi della dispersione scolastica in un momento delicato per il rilancio del nostro paese.

Età consigliata: dai 10 anni

Note di regia
Non abitavo a Palermo da dieci anni e non ci avevo mai abitato da adulto. Questo film mi ha permesso di ricascarci dentro, di riscoprirne i respiri e gli umori, i vicoli e le strade. Volevo ritrovare Palermo dove l’avevo lasciata all’inizio degli anni Duemila, e la Zisa, Colonna Rotta, via Imera, potevano essere i luoghi giusti per riprendere un dialogo con una parte della mia città, quella parte della città dove il tempo si era fermato.

La Zisa è un quartiere popolare dove la disoccupazione tocca punte del 50%, la dispersione scolastica raggiunge, anche nelle scuole elementari e medie, picchi dell’8%
e molti dei ragazzi lasciano gli studi una volta raggiunta l’età dell’obbligo scolastico. È uno dei quartieri con il più alto numero di minori presunti autori di reato, e ha il record cittadino di minori segnalati alle autorità giudiziarie e ai servizi sociali.
Volevo dunque ripartire da qui per mettere l’accento su tematiche sociali a me care, dando voce a un universo schiacciato da una narrazione unidirezionale quasi sempre legata a mafia e cronaca nera e che in me, invece, ha sempre fatto risuonare domande e interrogativi profondi che richiamano la complessità di Palermo, delle metropoli, di tutte le periferie del mondo e dei tanti conflitti che innescano disuguaglianze che segnano i destini di intere generazioni.

Per raccontare il mio Paese dovevo raccontare via Colonna Rotta, cercando di mettere in comunicazione due mondi che poco comunicano: quello dei protagonisti del film e quello degli spettatori del film, entrambi vittime di una reciproca indifferenza. Così, dalla primavera del 2017 ho frequentato la scuola media Bonfiglio. Per un lungo periodo sono andato in classe tre volte alla settimana. Sono stato seduto all’ultimo banco a prendere appunti sui comportamenti dei ragazzi, sulle lezioni. Non sapevo chi avrei raccontato e dove la mia ricerca mi avrebbe portato, e non volevo che i ragazzi sapessero della mia intenzione di fare un film. Immaginavo di partire dalla classe per aprirmi all’universo di Colonna Rotta, e che la classe dovesse essere una sorta di contenitore da dove sarebbero prima partite e poi confluite le storie.

Poi, invece, dopo un lungo periodo di osservazione passato a stretto contatto con Desirée, Morena, Daniel e Simone, ho costruito una struttura narrativa che tenesse conto della vita dei piccoli protagonisti lontano dalla classe: perché era fuori dalla classe che ritrovavo il senso del film e le primissime intenzioni di regia sostenute da una personale spinta politica e civile. Così ho cominciato a pedinare i ragazzi seguendoli per mesi e mappando il loro modo di stare al mondo, i loro luoghi, gli interessi, le loro famiglie e l’interazione con la classe e i compagni, lasciandomi guidare dall’intuizione di seguirli anche l’anno successivo, quello lontano dalla scuola, dove i ragazzi si consegnavano al quartiere e al mondo del lavoro nero nutrendo il loro desiderio di diventare subito adulti.

Così è stato per Simone, finito a vendere frutta con i parenti poco più grandi, per Desirée guidata dal suo desiderio di indipendenza a lasciare la scuola e a provare il lavoro di banconista nei panifici di mezza Palermo e per Daniel che però, nonostante tutto, ha continuato ad andare a scuola imparando a dare un nome alle cose che sapeva già fare.
Questo è il percorso del film. Un lavoro che prova a restituire fino in fondo il senso della difficile e rocambolesca vita di questi ragazzi, nati, forse, nella parte sbagliata della città, quella che troppo spesso non conosce i diritti e che rimane incastrata dentro dinamiche ambigue che prosciugano sogni e segnano le esistenze.