Gli stereotipi

13 Dicembre 2020

Guardando l’illustrazione nord/sud la prima parola che mi è venuta in mente è stata: stereotipi. Pensando agli stereotipi è subito apparsa nella mia mente, la storia di Maria Rita, che secondo me, può rappresentare il peso che questo fenomeno può avere sia sul territorio sia sulle popolazioni che ci vivono.
Gli stereotipi sono luoghi comuni di certezze consolidate che non trasmettono informazioni utili a modificare le conoscenze di una determinata realtà. La mafia, o per meglio dire, le popolazioni che vivono circondate da questo fenomeno, si interfacciano ogni giorno con una società in cui la disinformazione e la superficialità portano a pregiudizi che equivocano la maggior parte della realtà di un determinato territorio. Gli stessi pregiudizi che accompagnano la vita di ogni meridionale, che viene giudicato “mafioso” anche quando va via dalla propria terra perché stufo di aspettare uno Stato assenteista; uno Stato che stringe la mano agli oppressori voltando le spalle agli oppressi. Gli stessi pregiudizi che spingono migliaia di ragazzi a sognare un futuro lontano dalla propria terra e, nonostante cerchino di trovare un via d’uscita da un sistema inesistente, si trovano a dover trascinare il peso di un passato in cui non sono stati loro i protagonisti. Quello che fa più male degli stereotipi, dei pregiudizi, della disinformazione ecc. è il fatto che nessuno, secondo alcuni, ha una vita distaccata da quella della propria famiglia o dal proprio contesto sociale. Come Maria Rita Lo Giudice, figlia di un boss mafioso, che è stata schiacciata a soli 25 anni dal peso del cognome della sua famiglia. Maria Rita, si suicida nel 2016, laureata in economia presso l’università Mediterranea di Reggio Calabria. Ha cercato di dedicarsi allo studio per uscire da un ambiente in cui non era stata lei a scegliere di nascere. Maria Rita non apparteneva a nessuna associazione mafiosa; era la sua famiglia a farne parte, eppure a pagarne le conseguenze è stata la giovinezza e l’intraprendenza di Maria Rita. In pochi la vedevano come una semplice studentessa universitaria; come una semplice ragazza di 25 anni piena di sogni e speranze. Prima del nome veniva il cognome. Maria Rita non aveva nessun merito nelle sue azioni, era la figlia del boss, era lui a determinare i successi della venticinquenne. Perfino i giornali, il giorno dopo il suo suicidio, nelle testate giornalistiche parlano della vittima come “la figlia di” citando il suo nome solo dopo quello della famiglia. La cultura ha salvato Maria Rita dalla mafia. La cultura ha aiutato Maria Rita a distinguere il bene dal male; è riuscita a distinguere il bene della libertà dal male dell’oppressione. La cultura salverà le nuove generazioni, che saranno speranze per questa terra. La cultura abbatterà frontiere e pregiudizi, farà splendere il sud tra uliveti e aranceti; tra colline e pianure; tra fiumi, laghi e mari. Ma quanti giovani ancora dovranno essere schiacciati dalla storia del proprio paese o della propria famiglia affinché questa terra possa splendere?


Antonia

Polistena

ITIS M. M. MILANO

5 G

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