Cinemovel Foundation

scola“…l’impegno di Cinemovel, rifacendosi a un’intuizione di Zavattini… è tanto più meritorio perché portatore di idee ed emozioni che la tv non può dare… di fronte all’universalità della risata suscitata da Charlot si comprende il ruolo che il cinema ha avuto e può avere poiché tratta temi connaturati a uomini di ogni tempo e di tutti i continenti”.

Ettore Scola

 

Che cosa ha spinto uno dei maestri del cinema italiano a essere disponibile al progetto di cinema itinerante portato avanti da Cinemovel?
È un ricordo personale che mi ha fatto apprezzare il Cinemovel: sono nato in un piccolo paese di montagna di seicento abitanti dove ogni anno un camion portava il cinema. La prima volta avevo solo quattro anni ed ero impaziente di arrivare in piazza con lo sgabello dove sedere per assistere allo spettacolo. Soffiava un vento forte e freddo, il telone issato nel centro del paese sbatteva come una vela. Il movimento si estendeva dallo schermo al film, ma non dava fastidio, era un elemento in più. Si proiettava “Fra’ Diavolo” con Laurel e Hardy nelle parti di Stanlio e Olio. Nessuno rideva, tale era la sacralità della cerimonia, tutti se ne stvano protesi, attenti, quasi preoccupati, ridere sarebbe sembrato un dileggio. Il primo spettacolo cinematografico al quale ho assistito è stato un film comico con spettatori seri, che poi è anche la cifra del mio cinema: satirico, umoristico, ma nel fondo serio.
Nel mondo ci sono molte realtà che assomigliano all’Italia di settanta anni fa, allora la chiusura culturale era quasi totale, la radio era di regime, era proibito manifestare liberamente le idee, proprio come accade oggi in alcuni paesi dove la comunicazione è proibita, scarsa o inesistente. Cinemovel è un’iniziativa, anche se piccola, che ha un senso culturale e un impatto notevole nei luoghi nei quali viene realizzata. Nel film derivato da questa esperienza “Mozambico dove va il Cinema”* di Nello Ferrieri, i visi dei bambini che nel buio guardano lo schermo lasciano trasparire lo stupore di vedere se stessi sul grande schermo al quale fa seguito l’interesse per il film proiettato. I brevi documentari girati sul posto, nei quali la comunità si riconosce, sono un’esperienza rivoluzionaria, la successiva proiezione del film fa comprendere che oltre allo specchio c’è anche una finestra alla quale affacciarsi.

Il viaggio, quello reale ma anche quello temporale nella storia, ricorre spesso nei suoi lavori, penso a “Il sorpasso”(‘62) di cui è stato sceneggiatore, a “La Congiuntura”(’64), a “La famiglia”(’87) e a molti altri ancora, a cosa è dovuta questa scelta?
Si può dire che io abbia fatto sempre lo stesso film, i temi trattati sono stati due al massimo tre. Innanzi tutto c’è il tempo, che mi intriga fin da quando ero giovane. La contemporaneità del tempo: quello cronologico scorre, ma in realtà viviamo esperienze già accadute e che accadranno ancora in futuro, l’importante è la reazione dell’uomo con i fatti che si svolgono sopra di lui. Leggendo “Le vite parallele” di Plutarco è sorprendente vedere come quanto succede a Cesare sia simile a quello che accade ancora oggi agli uomini di potere.
Mi piace affrontare anche un altro tema: la storia, a partire dai piccoli eventi che riguardano la gente comune e al loro rapporto con la grande storia. È questo il piano che mi interessa, così è per la rivoluzione francese in “Il mondo nuovo” o per il fascismo in “Una giornata particolare”, le decisioni sono prese altrove e restano sullo sfondo, quello che prevale è il corso dell’umanità, la storia vera, assoluta, quella dell’uomo che si dimostra più forte dei suoi dittatori.

È inusuale per gli autori italiani la scelta di realizzare film all’estero, cosa l’ha portata fino in Angola per girare “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa”?
In realtà non sono mai partito dall’ambientazione, per “Riusciranno i nostri eroi…” l’ispirazione è venuta da letture giovanili di Salgari, Verne, Conrad. E siccome erano tempi ricchi per il cinema si facevano i sopralluoghi in base al soggetto, poi si scriveva la sceneggiatura, così ho girato il continente africano dal Kenya al Sud Africa, al Ciad. In Angola ho trovato quello che cercavo: un ambiente in evoluzione. La colonizzazione portoghese volgeva al tramonto e conviveva con la guerriglia, l’indipendenza era ancora lontana. Nel modo di vivere della gente c’era una sorta di sospensione, di attesa. Luanda era moderna e poco lontano vivevano tribù selvagge come i Mukubu che abbiamo coinvolto nel film. Questa popolazione non aveva mai visto camion e automobili, quando abbiamo trasportato la troupe con un pullman erano terrorizzati, urlavano, era il loro primo viaggio. In Angola c’erano distanze di secoli a pochi chilometri.

In “Brutti sporchi e cattivi”(’76) tracciava un quadro tutt’altro che buonista delle classi più umili, correrebbe il rischio, oggi, di fare un film analogo con protagonisti gli immigrati?
L’immigrazione è un tema nuovo. Oggi l’interesse a utilizzare questo tipo di spunti è diminuito, non ci sono produttori che si appassionano a un progetto, che si impegnano a fare film su argomenti scottanti. Del resto non era facile nemmeno in passato, se nel 1973 avessi proposto a un produttore di girare una storia sugli operai della Fiat e sul lavoro a cottimo, temi legati alla politica del momento, non me lo avrebbe mai finanziato. “Trevico-Torino (viaggio nel Fiat-nam)” l’ho fatto con Unitelefilm, la casa di produzione del Partito Comunista. Il linguaggio è cinematografico perché quello che volevo proporre era il cinema-verità come si faceva in Francia e in America Latina. Ho utilizzato, come altre volte, anche spezzoni di repertorio, inserimenti necessari che fanno da supporto alla storia di finzione. Tornando alla questione dell’immigrazione penso che per fare opere convincenti non si debba mai essere manichei.

Perché fa cinema, pensa che i film abbiano una funzione?
Il film è un racconto, un mezzo insostituibile per comunicare, corrisponde alla pagina scritta ma ha un linguaggio accessibile a tutti, per apprezzarlo non sono necessarie le competenze indispensabili a chi legge Dickens.
C’è poca consapevolezza sia dell’importanza del cinema nella formazione che del valore che ha come strumento politico. La tv ha preso il sopravvento perché consente di entrare in rapporto con una vasta platea di elettori. Tuttavia al pubblico numeroso che si pone in maniera distratta davanti al piccolo schermo rimane poco o nulla poiché l’attenzione nella visione televisiva è molto diversa da quella cinematografica. L’impegno di Cinemovel, rifacendosi a un’intuizione di Zavattini che avrebbe voluto dare a tutti una macchina da presa per raccontare, è tanto più meritorio perché portatore di idee ed emozioni che la tv non può dare, varrebbe la pena sperimentarlo anche in Italia, nelle periferie dove i cinema hanno chiuso o al massimo ci sono delle multisale. Di fronte all’universalità della risata suscitata da Charlot si comprende il ruolo che il cinema ha avuto e può avere poiché tratta temi connaturati a uomini di ogni tempo e di tutti i continenti.

Quali sono i programmi per il futuro di Cinemovel e quelli di Ettore Scola?
Dopo il Mozambico e il Marocco Cinemovel continua a muoversi in Africa: c’è un importante progetto di cinema itinerante in Etiopia, per promuovere una campagna contro le mutilazioni genitali femminili, che tuttavia sta incontrando delle difficoltà. Continua la collaborazione con Libera, la cooperativa fondata da don Luigi Ciotti, per realizzare Libero Cinema in Libera Terra, una carovana attraverso le terre confiscate alla mafia nel Sud d’Italia. Quanto a me seguirò con interesse l’attività di Cinemovel che dimostra di saper stabilire un contatto, che va al di là del cinema, con la realtà dei posti che raggiunge. Ho inoltre iniziato a svolgere il lavoro più remunerativo della mia vita: sono diventato lettore professionista. Da quando ho ritrovato la cognizione del tempo lo trascorro a leggere, riflettere, rileggere.

Ettore Scola, presidente onorario Cinemovel Foundation, intervistato da Nicoletta del Pesco per i Taccuini del premio Ilaria Alpi: Africa & Media (EGA Editore, 2009)

* Mozambico dove va il cinema – regia Nello Ferrieri e Raffaele Rago – soggetto Elisabetta Antognoni e Nello Ferrieri – Italia 2002, 82 minuti – sottotitoli italiano/inglese